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lissimi e spararono appena una diecina di fucilate.

— Sanno di poterci prendere, senza sacrificare un solo uomo, — diceva Jean Baret ad Amali, l’indomani. — La fame basterà.

— Non ci arrenderemo mai, — protestava Amali, con voce risoluta. — Preferisco dar fuoco al fortino e seppellirmi fra i rottami.

— Brutta fine che non desidero. Non son mica una salamandra io!

— Tenteremo una sortita.

— Aprirci il passo fra mille uomini! Sono troppi per noi.

— Che cosa fare dunque?

— Aspettare.

— E la fame?

— Mangeremo le foglie di banano che coprono i tetti delle capanne, se non avremo altro da porre sotto i denti. To! Chi è quel mammalucco che si avanza! Cospetto! ci mandano un parlamentario!

Un cingalese, che portava sul capo un ciuffo di penne di pavone, era uscito dal bosco, ondeggiando sulla punta d’una lancia una fascia di seta bianca.

— Verranno a intimarci la resa, — disse Jean Baret.

— Tempo sprecato, — rispose Amali.

— Tuttavia riceviamolo, — propose il francese.

— Udremo le condizioni.

Il cingalese, sempre agitando la sua fascia bianca per paura di ricevere qualche fucilata e che la sua qualità di parlamentario non venisse riconosciuta, si fermò sull’orlo del fossato, in attesa che venisse gettato qualche ponte.