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cap. xx. — la presa del fortino 303

perchè dopo un altro miglio si erano improvvisamente trovati dinanzi ad un recinto formato da tronchi di tek, e cinto intorno da un profondo fossato ripieno di piante spinose, ostacolo quasi insormontabile pei piedi nudi degli isolani.

S’innalzava sopra una spianata, anzi su di una specie di terrapieno, in modo da poter dominare tutta la foresta che lo circondava. Inoltre nell’interno si vedevano parecchie costruzioni, tettoie o capanne, addossate le une alle altre.

— È più solido di quanto credevo, — disse Jean Baret, che aveva potuto vederlo tutto intero, alla luce d’un lampo. — Dureremo fatica ad abbattere quei pali che sono così duri da resistere anche ai colpi di cannone.

— Sì, robusto e ben situato, — aggiunse Amali — avete veduto delle sentinelle sugli spalti?

— Due uomini armati di lancia e di una spingarda. Volete stringerlo d’assedio? I vostri uomini non riusciranno a varcare il fossato senza lacerarsi crudelmente i piedi.

— Eppure dobbiamo prenderlo prima che arrivino rinforzi da Jafnapatam.

— Se tale è la vostra opinione, mio caro Amali, da parte mia sono pronto a dare l’assalto. I miei piedi sono ben calzati.

— Qualcuno sarà stato mandato ad avvertire il marajah del nostro sbarco e presto accorreranno le bande di Jafnapatam. Se non ci trovano nel forte ci ricaccieranno in mare, forse prima dell’arrivo dei pescatori di perle.

— Proviamo ad andare innanzi.