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298 sul mare delle perle


Quel combattimento fra l’imperversare degli elementi, alla luce dei lampi, in mezzo a quel diluvio d’acqua, era qualche cosa d’orribile, d’infernale.

Non durò più di dieci minuti, poi il bastione umano cedette in varii luoghi, quindi si sciolse sotto l’impetuoso assalto dei pescatori di perle.

Un clamore assordante, selvaggio, che gareggiava coi tuoni, rimbombò sotto la cupa foresta. Era un clamore vittorioso.

I cingalesi fuggivano a rompicollo in mezzo ai rovesci d’acqua, disperdendosi per la foresta come, un branco di cervi spaventati, lasciando dietro di loro numerosi cadaveri e feriti.

I pescatori, inferociti dalla resistenza trovata e anche dalle perdite subìte, stavano per precipitarsi su questi ultimi e finirli, ma Amali, sempre generoso, aveva gridato con voce minacciosa:

— Guai a chi li tocca; lasciate che si ritirino, come meglio possono, nella borgata.

— Che battuta! — disse Jean Baret, che era uscito dalla pugna soltanto con poche scalfitture. — È orribile la battaglia di giorno, ma di notte, in mezzo all’uragano, è cento volte più spaventevole. Quanti uomini abbiamo perduto?

— Sedici, signore. — rispose Durga, che aveva fatto rapidamente l’appello.

— Ce ne rimangono abbastanza per assalire il porto, — disse Amali. — Non troveremo molta resistenza ora che la guarnigione ha subito la prima sconfitta.

— Attaccheremo subito?