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cap. xix. — alla conquista d'un regno | 297 |
imprecazioni di rabbia, d’angoscia e di disperazione, che contrastavano stranamente colla voce formidabile della tempesta, per la loro esiguità in paragone alla voce possente dei tuoni.
Pescatori e cingalesi si erano scagliati gli uni contro gli altri, colpendosi colle lance, colle scimitarre, coi fucili.
In mezzo all’uragano ed al buio della notte, fra l’acqua che cadeva a torrenti, si scannavano con furore.
Era però una lotta di pigmei in confronto alla battaglia che si combatteva nelle nubi fra lampi e tuoni. Quale analogia stabilire fra quegli esseri infinitamente piccoli e l’indescrivibile convulsione della natura?
Di tratto in tratto quando la gran voce delle folgori taceva, quando cessava il divampare delle nubi, dei solchi di luce attraversavano le tenebre e acuti spari succedevano al rumoreggiar dell’uragano.
Erano le carabine dei pescatori che lanciavano come una nota di fosforo in mezzo ai fragori d’una orchestra di ottoni.
Amali e Jean Baret, alla testa dei loro uomini combattevano con rabbia estrema. Si erano scagliati pei primi fra il bastione umano formato dai cingalesi e vi erano penetrati come un cuneo che entra nell’albero, tutto rovesciando sul loro passaggio.
I pescatori li avevano seguiti, fulminando a bruciapelo gli avversari, sgominando i ranghi, poi avevano impugnato le scimitarre, impegnando la lotta corpo a corpo.