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256 | sul mare delle perle |
— Possono disporre di una ventina di galee.
— E porta ognuna?
— Ventiquattro o trentasei uomini, metà rematori e metà combattenti.
— Tutti insieme formano un bel numero — disse Jean Baret. — Se si accorgono della nostra presenza, ci faranno ballare una pessima monferrina o una sarabanda.
— Ci avvicineremo con cautela e fuggiremo subito nella caverna dei pesci-cani.
— Non ci seguiranno?
— Lo tenteranno e forse potrebbero anche riuscire.
— E allora prenderanno il vostro Bangalore.
— Vi sono dei nascondigli nella caverna, da noi soli conosciuti, e che i cingalesi non oseranno perlustrare. Centinaia di pesci-cani inferociscono là dentro ed essendo le galee basse assai, gli equipaggi si esporrebbero al rischio di farsi divorare.
— Ed a voi non fanno nulla quegli squali?
— Con noi sono famigliarizzati e non ci fanno male alcuno, essendo i loro provveditori. Tutti i giorni i miei uomini danno loro da mangiare ed essi hanno imparato a essere riconoscenti.
— Questa è curiosa! Dei pesci-cani ammaestrati!
— È come ve la racconto, Jean Baret, e ve ne persuaderete quando entreremo nella caverna.
— Sicchè il vostro scoglio è imprendibile.
— Tale da sfidare anche gli assalti degli europei.
— Sono ansioso di vederlo.