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cap. xvii. — le galee del marajah | 253 |
— Otto a destra, otto a sinistra e gli altri alle spingarde. Passeremo sparando da ambe le parti.
— È solida la vostra nave?
— È tutta in legno di tek, un legno che resiste alle palle di cannone.
— Quindi se qualche galea tenta di tagliarci il passo....
— Possiamo investirla e colarla a fondo, senza che la nostra prora si rompa.
— Vuol dire che i più forti siamo ancora noi. Avanti senza paura!
Il Bangalore si trovava allora a cinque o seicento metri dalla foce del canale, che serviva di scarico alle acque del lago.
Sebbene la notte fosse oscura, Amali e Jean Baret scorsero sulle due rive sei galee, colla prora e la poppa assai alta, e senza alberature. Quattro si tenevano presso i canneti, le altre due invece un po’ in mezzo al canale, per impedire l’uscita a qualunque nave che fosse diretta verso il mare.
— Saremo costretti a investire, se si stringono, — disse Jean Baret, che osservava attentamente la situazione.
— Siamo pronti! — gridò Amali prendendo la carabina.
In quel momento da una delle due galee che occupavano il centro del canale, si udì una voce gridare:
— All’armi!...
— Si sono accorti del nostro avvicinarsi — disse Jean Baret.