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cap. xv. — la fuga di jean baret 229

sorpresi nel loro sonno, fuggivano a rompicollo, sfondando impetuosamente le macchie o saltandole con agilità straordinaria.

Quando furono presso il tempio, Jean Baret, che era coraggioso quanto prudente, fece fermare i suoi uomini, volendo prima assicurarsi che non vi fosse proprio nessuno.

Dopo d’aver ascoltato un po’ senza udire alcun rumore, nè veder comparire alcuno sulla scala, si fece innanzi pian piano, comandando ai pescatori di preparare le armi.

Salì la scala, attraversò il largo pianerottolo ed entrò nella pagoda. Non vi era nessuno.

Corse innanzi alla statua di Budda e constatò, con gioia, che la pietra non era stata levata.

— Maduri deve essere ancora qui sotto, se non ha forzato l’inferriata.

Prese l’anello e lo tirò a sè, alzando la pietra.

— Maduri! Maduri! — chiamò.

Una voce, che subito riconobbe e che gli fece balzare il cuore, gli rispose.

— Siete voi, signore?

— Sì, sono io, Jean Baret.

Il ragazzo comparve sotto l’apertura.

Il francese lo prese per le braccia e lo tirò fuori.

— E mio zio? — chiese il ragazzo, non vedendolo fra gli uomini che lo circondavano.

— Disgrazia, mio buon ragazzo, disgrazia! Tuo zio, Durga, il capitano ed i due marinai sono stati presi dai cingalesi.

Due grosse lagrime spuntarono sulle ciglia del giovane.