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206 sul mare delle perle


— Quel testardo non vuole andarsene — disse il francese seccato. — Saremo costretti a ucciderlo, se vorremo prendere dimora qui.

— Assaliamolo nel corridoio — consigliò Amali. — Un colpo di fucile sparato là dentro non si propagherà molto lontano.

— Pare anche a me — aggiunse Jean Baret. — E poi i cingalesi non devono aver scoperto le nostre orme, con questa oscurità.

— Spingiamo avanti i fastelli per vederci un po’.

Coi calci delle carabine fecero rotolare le canne verso il corridoio e giunti presso l’entrata si fermarono, cercando di scorgere l’animale che si udiva sempre mugolare.

Non si trattava veramente d’un corridoio. Era un antro lungo appena una diecina di passi, stretto e molto basso ed in parte ingombro di rottami.

La belva vi si era rannicchiata in fondo, in una posa che faceva prevedere un imminente assalto.

— Indietro il ragazzo! — gridò Jean Baret. — Sta per avventarsi su di noi.

Il capitano prese Maduri e se lo mise dietro, facendogli scudo col proprio corpo.

— Fuoco! — comandò il francese.

Tre colpi di fucile scoppiarono. Il leopardo ferito, forse mortalmente, si rizzò sulle zampe posteriori, poi balzò innanzi, investendo impetuosamente il drappello, il quale si trovava colle armi scariche.

Nel suo slancio aveva trovato Amali. Il re dei pescatori di perle, con un coraggio da leone, estratto rapidamente il pugnale, aveva affrontato la fiera.