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cap. xiv. — i cingalesi alla riscossa 205


— È un leopardo — esclamò Jean Baret.

— Ed ha qui il suo covo — disse Amali. — Non vedete quanti ossami si trovano presso quella statua?

— Sarà solo o avrà qualche compagno? — domandò Durga.

— Non vedo che lui — rispose Jean Baret.

— Come faremo a sloggiarlo? — chiese il capitano.

— Non trovo altro mezzo che quello di fucilarlo — affermò Jean Baret.

— Ed i cingalesi? — disse Amali.

— Già, non pensavo a quei bricconi.

— Che udrebbero le nostre detonazioni.

— Eppure non possiamo rimanere all’aperto.

— Vediamo se riusciamo a farla fuggire.

— Adagio, re dei pescatori. I leopardi non sono meno feroci delle tigri, anzi sovente sono più pericolosi.

— Accendiamo delle altre canne e avanziamoci. Tutte le belve temono il fuoco.

— Proviamo — disse il francese.

I due marinai vennero mandati una seconda volta a far provvista di vegetali. Furono formati sei fasci e ognuno ne prese uno, accendendolo e scagliandolo verso l’angolo dove si era rifugiato il leopardo.

Questo, vedendosi cadere addosso quella pioggia di fuoco, descrisse quattro o cinque volteggi intorno alla statua, mandando delle grida stridenti, poi, con un ultimo slancio, scomparve entro un buio corridoio che si apriva all’opposta estremità del tempio.