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I cingalesi continuavano a raddoppiare di lena, di sforzi e di urli man mano che i ranghi si avvicinavano al centro della palude, ed il baccano diventò spaventevole allorchè furono a cinquanta passi l’uno dall’altro.

In quel momento tutto il centro dell’acquitrino era occupato da più d’un centinaio di sauriani, i quali si dibattevano in preda alle più strane contorsioni, ora nuotando sott’acqua ed ora mostrando le spaventevoli mascelle irte di denti triangolari e talvolta, spinti dalla disperazione, si scagliavano all’impazzata addosso ai cingalesi.

Allora rovesciavano frequentemente a terra una mezza dozzina di cacciatori, costringendoli a spezzare le loro picche od a lasciarsele sfuggire di mano, ciò che divertiva immensamente il marajah e soprattutto quei compagni degli sconfitti, che erano abbastanza destri e forti da resistere a quegli improvvisi assalti.

Altri soldati, tenuti in riserva, si precipitavano tosto alla riscossa e si stringevano in linea di battaglia, colmando i vuoti.

Fortunatamente, sebbene tutti fossero più o meno feriti, pochi erano colpiti a morte.

Alcuni coccodrilli però, non ostante la vigilanza dei loro nemici, riuscivano a passare fra le linee e salire la riva, ma non andavano molto lontani, perchè il marajah, i suoi capitani e Jean Baret aprivano tosto un fuoco infernale contro di loro, stendendoli ben presto esanimi al suolo.

Altri invece venivano inseguiti dai soldati, a colpi di picca, fino a renderli moribondi, poi sollevati