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fatto fuoco, al contrario, avrei cercato di aizzare la tigre perchè lo divorasse più presto.

— Se il marajah vi manda a chiamare non rifiutate di recarvi da lui. Avrete tutto da guadagnare. È capace di nominarvi direttore delle caccie.

— Bella carica che non posso accettare perchè un altro me la darà.

— E chi?

— Amali, — disse il francese.

— Silenzio, siate prudente. È un nome troppo pericoloso qui.

Erano appena giunti al campo, quando un ufficiale del marajah si presentò nella loro tenda, pregando Jean Baret di seguirlo.

— Ecco la ricompensa — gli mormorò all’orecchio il capitano.

— Saprò approfittarne — rispose Jean Baret.

Uscì dalla tenda e si diresse verso quella del marajah.

Il principe lo aspettava fuori, seduto sopra una sedia di velluto, circondato dai ministri, dagli alti dignitari e dai capitani.

Dinanzi a lui stavano allineate le sei tigri, coperte di foglie e di fiori, sei bestie enormi, d’una bellezza rara, sulla più grossa delle quali stava seduto il nipote di Amali.

Jean Baret si levò cortesemente il berretto e, con un lieve inchino, disse con spigliatezza:

— Che cosa desidera Vostra Altezza da me?

— Ringraziarvi prima di tutto — disse il marajah, dopo d’avergli restituito il saluto. — Senza la vostra carabina e la vostra abilità non so se