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cap. xii. — le caccie del marajah | 171 |
fanti. Tutti i cacciatori avevano veduto il pericolo, eppure nessuno aveva osato far fuoco, temendo di colpire il principe ed i suoi compagni.
Jean Baret era ben sicuro dei suoi colpi. Vedendo la tigre allungare una zampa verso Maduri, fece fuoco precipitosamente.
La tigre, colpita nel cranio, ruzzolò giù dall’elefante. Era l’ultima perchè tutte le altre erano già state uccise, alcune dai cacciatori ed altre dai soldati.
Il marajah, salvato a tempo da una morte certa, si era guardato intorno, domandando:
— Chi ha fatto fuoco?
— L’uomo bianco, — avevano subito risposto tutti.
Il principe alzò gli occhi verso Jean Baret che stringeva in mano la carabina ancora fumante e gli fece colla mano un gesto di ringraziamento.
La caccia era finita. I battitori avevano caricato sui palanchini le sei tigri e le avevano portate al campo.
Anche gli elefanti tornavano fra un clamore assordante di tam-tam e di tamburi. Tutti festeggiavano il felice esito di quella battuta, che non aveva avuto precedenti.
— Signor Baret, — disse il capitano al francese. — Voi siete l’eroe della giornata ed il marajah vi darà certamente qualche ricompensa per avergli salvata la vita.
— Io ho difeso quella del fanciullo e non già la sua, — rispose Jean. — Se Maduri non si fosse trovato sul medesimo elefante, non avrei