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168 | sul mare delle perle |
mente da non lasciar tempo ai cacciatori di mirarla.
— Pare che voli — disse Jean Baret, che aveva già più volte puntato la carabina. — Si stancherà presto e allora faremo fuoco.
La tigre fece parecchie evoluzioni, senza diminuire lo slancio, poi con un subitaneo volteggio giunse quasi a venti metri dalla linea degli elefanti.
I battitori si erano già riparati dietro ai pachidermi, senza cessare di urlare.
— Aizzate i cani! — gridò in quel momento il marajah.
Quelle coraggiose bestie si erano scagliate animosamente innanzi, latrando con furore. Erano più di cento e portavano tutte un collare di ferro irto di punte.
In un baleno circondarono la tigre, urlandole contro. La belva si era fermata, guardando quei numerosi avversarî. Si sarebbe detto che essa considerava con aria di profondo disprezzo quei botoloni che non osavano avanzarsi e che anzi ad ogni suo movimento indietreggiavano, nascondendosi prudentemente sotto le canne o fra le zampe degli elefanti.
— Ah! Non si muove — esclamò Jean Baret. — Ora ti faccio saltare io.
Stava per puntare il fucile quando il marajah ed i suoi compagni fecero una scarica, che ebbe effetto nullo perchè la tigre non si mosse.
Le mani reali non erano troppo ferme e nemmeno quelle dei ministri e degli altri dignitarî.
— Che tiratori! — mormorò il francese.