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cap. xi. — il capitano della guardia 163


— Con che cosa?

— Con una puntura.

— Non la sentiranno nemmeno, signore. La loro pelle è troppo grossa.

— Eppure un giorno, nel Pengiab, ho veduto uno di quei colossi diventare così terribile, in seguito ad una goccia di un certo liquido injettato sotto la sua pelle da un indiano, che lo si dovette uccidere per impedirgli di fare un massacro.

— E voi possedete quel veleno?

— Sì, me lo ha dato quell’indiano a cui avevo reso un servigio.

— E l’avete con voi?

— L’ho in tasca. Contavo di regalarlo ad un marajah del Coromandel, il quale va pazzo per la lotta degli elefanti e che si lagnava di non poter rendere i suoi animali abbastanza esaltati. Non avendo avuto occasione di rivederlo, l’ho tenuto io.

— E lo userete per gli elefanti del marajah?

— Sì e noi approfitteremo del terrore e della confusione che spargeranno pel campo, per impadronirci del ragazzo.

— Un piano stupendo, quantunque pericoloso.

— Non saprei trovarne uno migliore.

— Perchè aspettate quando saremo sulle rive del lago? Potreste tentarlo questa notte.

— Siamo troppo lontani da Amali. I soldati del marajah potrebbero inseguirci e prenderci subito. Sul lago invece abbiamo il Bangalore e la fuga sarà più facile e più sicura, non avendo qui il marajah nemmeno una barca.