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cap. xi. — il capitano della guardia 157


Vi era appena giunto, quando si udirono suonare trombe e tam-tam e si videro comparire numerosi soldati, che sventolavano banderuole bianche, sulle quali erano dipinte in rosso delle figure che rappresentavano il sole, l’elefante, la tigre, il drago ed altri animali.

Seguivano drappelli di suonatori che battevano triangoli di ferro, lastre di bronzo, tamburi e tam-tam, poi soldati armati di sferze senza manico, formate di corde di canapa intrecciate, che agitavano senza posa, facendole fischiare agli orecchi della folla.

Veniva quindi un ricco palanchino, carico di ornamenti d’oro e d’argento e ricco di sculture, sorretto da otto uomini, vestiti sfarzosamente di seta a vari colori.

Adagiato sopra un cuscino di velluto, stava il marajah, il quale indossava una specie di giubba di stoffa di broccato e larghi calzoni di seta bianca che gli scendevano fino ai talloni, e scarpe rosse a punta ricurva.

In testa portava un berretto di velluto a quattro corna, adorno d’un mazzo di penne rosse, e al fianco una spada coll’elsa d’oro. In mano invece aveva una canna a varî colori, col manico d’argento cesellato ed incrostato di perle preziose e di diamanti.

Era un uomo ancora vegeto e robustissimo, di tinta quasi biancastra, che negli occhi e anche nei tratti del volto rassomigliava un po’ alla bella Mysora. Aveva invece una espressione feroce e sdegnosa sul volto.