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cap. xi. — il capitano della guardia 149


— Andiamo — disse Jean Baret.

I servi gli fecero attraversare un bellissimo corridoio di marmo e lo introdussero in una sala coperta di tappeti e ammobiliata sontuosamente, con divani e cortinaggi di seta e immensi vasi indiani istoriati.

Un uomo che indossava una lunga camicia di seta azzurra, senza ricami, e che aveva il capo stretto da un fazzoletto di raso rosa, stava seduto sopra una piccola sedia di bambù, tenendo fra le mani una ricca scatola di lacca contenente del betel e delle noci d’areca.

Era un po’ attempato, al di sopra certo della cinquantina, di statura bassa, come lo sono generalmente i cingalesi, colla pelle un po’ bruno-dorata, due occhi piccoli e furbi ed il mento coperto da una folta barba ancora nera.

Vedendo entrare il francese si alzò, poi indietreggiò, facendo un gesto di stupore. Aveva veduto Durga comparire dietro a Jean Baret.

Con un gesto accennò ai servi di andarsene, chiuse la porta, poi, tornando verso il francese, disse:

— Perdonate, signore, questa mia mossa prima di salutarvi, ma voi siete seguito da un uomo che mi ha profondamente turbato.

— Me lo immaginavo — rispose Jean Baret, stringendo la mano che il capitano della guardia gli porgeva. — Non aspettavate di certo Durga!

— Chi ti manda? — chiese con vivacità Binda, avvicinandosi al luogotenente di Amali.

— Il mio padrone.