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cap. i. — i banchi perliferi di manaar 9


— No, padrone.... è un pesce-cane che assalisce un palombaro.

— Oh! dove?

— Era già giunto alla superficie quando è scomparso di nuovo.

— Un disgraziato che corre pericolo?

— E che a quest’ora sarà già stato divorato od in procinto di esserlo.

Amali, con un gesto fulmineo, si era slacciata la sciarpa e si era sbottonata la camicia di seta, mostrando il suo atletico corpo, luccicante come bronzo, d’una perfezione degna delle antiche statue greche, non conservando che un piccolo perizoma di seta gialla che gli annodava i fianchi.

— Vediamo — disse poi, impugnando la sua corta scimitarra.

— Che vuoi fare, padrone? — chiese Durga, spaventato.

— Lo saprai subito.

Grida di terrore s’alzavano fra i pescatori di perle che si trovavano presso il piccolo veliero. Correvano da poppa a prora, a rischio di rovesciare le barche, strappandosi i capelli ed imprecando, però nessuno osava lanciarsi in acqua, anzi i palombari si erano precipitosamente rifugiati fra i compagni, per paura che il pesce-cane improvvisamente comparisse e tagliasse loro le gambe.

Attraverso l’acqua, in quel luogo assai trasparente, si vedeva una massa mostruosa descrivere dei giri fulminei.

Era uno squalo dei più grossi, lungo più di sette