Pagina:Salgari - Sul mare delle perle.djvu/162

142 sul mare delle perle


«Avevo cacciato altre tigri e mai ne avevo veduta una più superba. Era della maggior grossezza, piena di coraggio e di ferocia e doveva opporre una lunga resistenza.

«Quando ci apparve noi la chiudemmo fra la jungla e le piantagioni coltivate a indaco, in una specie di spiazzo, dove la vista poteva abbracciare parecchi villaggi.

«Se avesse voluto, avrebbe potuto sfuggirci, non potendo noi, senza arrecare gravissimi danni alle campagne, spingere gli elefanti, i cani ed i nostri uomini fra l’indaco allora quasi giunto a maturazione. Invece preferì affrontarci.

«Fu un momento emozionante per tutti. La belva stava ritta dinanzi a noi, sferzandosi i fianchi colla coda, saettandoci coi suoi occhi terribili e mandando rauche grida. Poi, nell’istante in cui gli elefanti si disponevano a stringerla, presentando le zanne formidabili e le proboscidi alte, si alzò e con un salto prodigioso andò a cadere a trenta passi dalla nostra linea, fugando i battitori, i bracchieri ed i cani.

«Il mio cavallo, preso da uno spavento indicibile, aveva indietreggiato sbuffando e tremando in tutto il corpo.

«Mi accorsi che stavo per lasciare la pelle in bocca alla belva. Per le scosse disordinate del mio cavallo mi riusciva impossibile far uso del fucile.

«Il mio amico, comprendendo che correvo un estremo pericolo, mi gridò:

«— Jean, lascia subito il cavallo: la tigre ti guarda.