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132 sul mare delle perle


Invece di mostrarsi, si rannicchiò fra le erbe facendosi più piccino che poteva.

L’elefante attraversò le erbe in pochi slanci, passando vicino al suo nemico, poi tornò sui propri passi, barrendo e vibrando colpi di proboscide all’impazzata.

Il suo aspetto in quel momento era tanto terribile, che il francese per un istante si credette perduto.

Dopo un po’, lo vide fermarsi bruscamente, ponendosi in ascolto. Cercava di sorprendere la marcia del cacciatore?

Jean Baret non si muoveva, anzi si studiava di tenersi ben nascosto, sapendo che il menomo movimento gli sarebbe costato la vita.

Dal luogo in cui si trovava, avrebbe potuto colpire facilmente l’avversario. Aveva il fucile vuoto e non osava caricarlo per paura di urtare le piante e richiamare l’attenzione del pachiderme, il quale ascoltava sempre, mentre il sangue gli scorreva abbondantemente dalla ferita.

Frattanto il francese lo teneva d’occhio, risoluto a vendere cara la vita, se lo avesse veduto avanzare ancora.

Erano trascorsi alcuni minuti, quando uno sparo rimbombò a soli dieci passi di distanza.

L’elefante, colpito nuovamente in qualche organo vitale, alzò la proboscide, barrendo fortemente, scosse gli orecchi, poi fece alcuni passi traballando.

— Bravo Durga, — disse il francese. — Ora a me!