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cap. viii. — un feroce assalto | 111 |
sissimi nell’isola di Ceylan, di alberi del tek, il cui legno è durissimo, di valerie indiche chiamate anche ponne, che rimangono sempre verdi, e di arundo calamus, che sono le canne d’India adoperate dai nostri ombrellai, le quali in quei paesi ardenti e fertilissimi raggiungono delle lunghezze di cento e più metri.
Sparse poi pel lago, vi erano molte isolette tutte coperte invece di magnifiche piante del cocco, che sono le più belle palme che si possano ammirare e che a Ceylan prendono uno sviluppo incredibile.
Queste piante si alzano sopra un fusto sottile, spargendo all’intorno delle lunghe foglie; sono così preziose che bastano esse sole per cibare, dissetare e anche vestire gl’isolani cingalesi.
Il frutto che producono eguaglia presso a poco la testa d’un uomo per grossezza, sono però un po’ ovali e alquanto triangolari.
Ordinariamente ne portano sessanta e talvolta anche settanta e stupisce che una pianta tanto esile possa resistere a così enorme peso e sfidare i venti, che soffiano assai impetuosi in quelle regioni.
La scorza esteriore di quel frutto è robustissima, grossa tre o quattro dita, coperta esteriormente d’una sostanza fibrosa atta a essere filata, sicchè ne viene ordinariamente spogliato prima di esser venduto; il guscio interno invece, che è levigatissimo e molto duro, serve per contenere i liquidi.
Quando la noce è ancora un po’ verde, contiene un liquore gradito, bastevole a dissetare due per-