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cap. viii. — un feroce assalto 109


— Ah! Sì! Ed ho udito parlare anche nell’India meridionale di quest’uomo straordinario, ricco come un nabab, valoroso come un dio della guerra e che si dice sia un pretendente d’un trono di Ceylan. Sareste voi?

— Sì, signore.

— Dovevo supporlo dal modo con cui vi siete difeso. Desidererei ora sapere anch’io, se lo permettete, per quale serie di avvenimenti vi trovo qui, mentre dovreste essere sui banchi di Manaar, ora che è la stagione della pesca.

— Ve lo racconterò dopo colazione — rispose Amali. — Vi basti sapere per ora che io sto per intraprendere una pericolosa spedizione sulle terre del marajah di Jafnapatam, l’uomo che io anelo di rovesciare dal trono.

Il francese gli mise una mano sulla spalla e gli chiese:

— Vi sembro un buon combattente?

— Vi ho veduto or ora alla prova.

— La mia vita è destinata a trascorrere fra continue avventure e le grandi emozioni formano la mia passione. Mi pare di non aver mai avuto paura nè delle belve, nè degli uomini e di poter valere qualche cosa. Io devo a voi la vita; prendetevela, unitemi alla vostra sorte e vi prometto che non avrete a lagnarvi di me. Lo volete, re dei pescatori di perle?

— Un europeo e per di più coraggioso sarebbe per me d’un valore immenso e produrrebbe una grande impressione sul mio avversario. Pensate però che io arrischio una partita terribile che potrebbe costarmi la vita.