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cap. vii. — i selvaggi di ceylan 97

un amico. Lasciate la vostra barcaccia che non può muoversi e riparatevi sulla mia.

— Anche il cannone?

— Inchiodatelo; vi servirete delle mie spingarde.

L’europeo getta una corda e si lascia scivolare sulla tolda del Bangalore, subito seguito dai suoi cinque indiani che hanno già inchiodato il pezzo.

È un bel giovane di trent’anni, ben complesso, con capelli e barba bionda, occhi azzurri, lineamenti distinti e fini.

Tende la mano ad Amali dicendogli brevemente, in buon cingalese:

— Chiunque voi siate, grazie del vostro intervento. Ancora pochi minuti e questi selvaggi ci avrebbero massacrato. Fuggiamo perchè ho messo una miccia ad un barile di polvere e la mia pinazza sta per saltare.

— Chi siete? Inglese?

— No, francese.

— Tanto meglio: ora ci apriremo il passo.

L’accostarsi dei selvaggi impedisce loro di scambiarsi altre parole. Le barche si sono riordinate ed ora si stringono attorno al Bangalore, mentre la pinazza viene invasa da una folla di demoni, i quali salutano quella prima vittoria con urla, che nulla hanno di umano.

L’acqua spumeggia tutto intorno sotto i colpi di remo dei selvaggi, e le barche s’accostano sempre.

È il momento di agire.

Amali con voce calma ordina a dieci dei suoi