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cap. vii. — i selvaggi di ceylan 95


— Perchè non tenta fuggire?

— Non vedi che si è arenata sul banco?

— Ah! padrone, vedo un uomo bianco in mezzo agl’indiani. Guardate, sta scaricando il cannone.

— L’ho veduto.

— Che sia un inglese?

— Inglese, francese, o portoghese noi andremo a soccorrerlo, mio buon Durga. Non lasceremo a quei feroci candiani trucidare l’equipaggio.

Il Bangalore aveva superato la curva e s’avanzava a forza di remi, essendo il vento caduto.

La sua presenza da principio non sembra destare alcun sospetto fra gli assalitori, i quali credono all’arrivo di qualche rinforzo; ma presto si accorgono dell’errore vedendo gl’indiani lasciare i remi ed impugnare le armi, mentre sulla poppa del veliero sventola una bandiera che non conoscono.

I selvaggi mandano un terribile urlo di guerra che somiglia al frastuono prodotto da un migliaio di sciacalli e brandiscono i coltellacci, gli sciaboloni dalla lama a forma di lancia, i giavellotti, le pesanti clave di legno e le treccie, e, spezzata la linea, si slanciano verso il Bangalore, credendo di prenderlo in un batter d’occhio.

La loro illusione ha la durata d’un lampo. Il re dei pescatori di perle si è alzato colla carabina in mano, gridando.

— Fuoco alle spingarde!... Apritemi il passo!...

Il veliero s’incendia come il cratere d’un vulcano in piena eruzione. Le spingarde tuonano una dietro l’altra, fracassando le scialuppe più vicine,