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capitolo vi – l'arcipelago delle spitzberg 51


Alle 10 di sera il nebbione tornava a calare sull’oceano, mentre il freddo aumentava rapidamente. Alcuni fiocchi di neve cominciavano già a cadere.

Tompson, che era diventato inquieto, si era messo alla ribolla del timone. Non voleva lasciare ad altri, in quei momenti, la direzione della nave. L’aveva condotta fino a quel punto con fortuna insperata, sfidando i ghiacci, le nebbie e le onde, e voleva compire l’opera, spingendola al sicuro nell’Eis-fiord.

Aveva raccorciato le bordate, per paura di andare a urtare contro i frangenti che potevano trovarsi in vicinanza di quelle spiagge a loro poco note, e tendeva costantemente gli orecchi per raccogliere i fragori della risacca.

A mezzanotte nevicava copiosamente ed il mare cominciava a diventare cattivo. La tolda, le murate, gli attrezzi s’imbiancavano rapidamente ed il freddo era diventato così acuto, che la spuma delle onde gelava sul ponte e attorno agli ombrinali di sfogo.

Al largo si udivano i ghiacci a cozzarsi gli uni contro gli altri con sorde detonazioni, e si udivano a capitombolare con grande fracasso. Pareva che una grande flottiglia scendesse dal nord, navigando parallelamente alle coste delle Spitzberg.

Tompson continuava a stringere le bordate: si trovava stretto fra due pericoli e voleva evitarli. All’est aveva la costa forse senza rifugi e irta forse di scogliere, e all’ovest la flottiglia dei ghiacci. Se urtava contro l’una o contro l’altra, la Torpa era perduta.

Verso le tre del mattino avvenne un urto che arrestò bruscamente la nave. Pareva che lo sperone avesse urtato contro qualche banco, che i marinai di guardia non avevano potuto scorgere.