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50 i naufraghi dello spitzberg


ancora così tanti da riuscire pericolosi e la Torpa poteva facilmente evitarli, ora che il nebbione erasi completamente dileguato.

Tompson intanto non cessava di esaminare la costa con un buon cannocchiale, sperando di scoprire altri segnali od i rottami di una o dell’altra nave. Si era stabilito nella botte dell’ice-master in compagnia di Oscar per poter, da quell’altezza, meglio dominare le spiagge, ma nulla appariva.

Quelle coste, già coperte di neve, erano deserte. Perfino gli uccelli erano rari e si vedevano appollaiati tristamente sulla punta delle rocce, senza mandare le loro festose ed assordanti grida.

Quella parte dell’isola pareva la più selvaggia, la più desolata. Le sponde scendevano dovunque a picco, rendendo l’approdo quasi impossibile; i fiords erano stretti, tortuosi, di aspetto tetro e seminati di tali rocce che impedivano l’accesso non solo alle navi ma anche alle scialuppe; i promontorii alti, dirupati, terminanti in punte aguzze che parevano fatte appositamente per sventrare le navi. In lontananza invece, ben dentro la terra, si vedevano ergersi alte montagne tagliate pure a picco, rivestite di ghiacci e di nevi eterne e nelle loro vallate scintillavano immensi ghiacciai.

Verso le sei di sera un brusco salto di vento arrestò la Torpa. Tornava a soffiare il vento polare spingendo innanzi a sè nuvoloni gravidi di neve e fosche cortine di nebbia.

Tompson però non volle cercare un ancoraggio sotto la costa e comandò di avanzare correndo bordate, manovra faticosa, ma che i marinai, ansiosi di accorrere in aiuto dei loro camerati, non rifiutarono, quantunque la notte promettesse di essere tutt’altro che buona.