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capitolo xiii — una marcia disastrosa 233


Il sole non era ancora sorto che già Tyndhall ed i suoi compagni avevano abbandonato il fiord, spingendosi sui campi di ghiaccio.

Mentre gli uni davano addosso agli uccelli marini che erano ancora numerosi, o cercavano di sorprendere qualche lontra, il mastro armato del fucile si era diretto verso le sponde del mare, seguìto da Charchot che portava il kayak. Avendo veduto delle foche che si lasciavano trasportare sui piccoli ghiacci, cercarono di colpirne qualcuna.

Nascostisi dietro un hummok, attesero pazientemente che ne passassero a portata del fucile.

Stavano colà da un paio d’ore, quando ne videro una che stava sdraiata su di un piccolo pack, scaldandosi ai raggi del sole, che era allora appena sorto.

Tyndhall puntò rapidamente il fucile e dopo d’aver mirato con grande attenzione, lasciò partire i due colpi.

La foca, colpita mortalmente da quella doppia scarica, fece un balzo, ma tosto ricadde sull’orlo del piccolo banco di ghiaccio.

Charchot aveva già messo in acqua il kayak e vi si era cacciato dentro. Con pochi colpi di remo, raggiunse l’anfibio che le onde spingevano al largo assieme al pack e legatolo al canotto, lo rimorchiò felicemente fino ai banchi.

Era una foca giovane e quindi ancora piccola, ma bastava ad assicurare i viveri per due o tre giorni.

Prevedendo che i loro compagni, privi di un kayak e armati di sole pistole, non avrebbero potuto abbattere dei grossi capi di selvaggina, mastro Tyndhall e Charchot tornarono a nascondersi dietro all’hummok, sperando di catturare qualche altro anfibio.

L’intera giornata però trascorse in una vana attesa.