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capitolo ix — il naufragio | 197 |
ma non perdette interamente la testa. Comprendendo che ormai un urto era inevitabile, cercò di renderlo meno pericoloso.
Con una strappata irresistibile, tirò a sè la ribolla del timone. La Shannon deviò bruscamente proprio nel momento in cui stava per speronare l’ice-berg ed infrangersi e invece di urtarlo colla prora, gli si gettò addosso col tribordo, rovesciandosi a metà.
L’urto che subì fu così violento, che tutti gli uomini caddero sulla tolda. Perfino il mastro, perduto l’equilibrio e travolto dalle onde che inseguivano la Shannon e che si erano scagliate in coperta con tremendi muggiti, credendo di spazzare via quell’ostacolo, fu sbalzato innanzi.
S’udì un crepitìo come di legnami che s’infrangono, ma che fu tosto soffocato dalle urla del vento e dallo scrosciare dei marosi che s’infrangevano contro l’ice-berg.
Per alcuni istanti sopra la coperta della Shannon vi fu un orribile rimescolamento d’acque spumeggianti, poi quei torrenti sfuggirono attraverso alle murate infrante e gli uomini di bordo poterono rialzarsi e rendersi conto della gravità della situazione.
La Shannon galleggiava ancora, ma era ridotta in uno stato miserando. I suoi due alberi, urtando contro la enorme muraglia di ghiaccio, che scendeva proprio a piombo in quel luogo, si erano spezzati a metà e la velatura era stata portata via dall’improvviso assalto delle onde; la murata di tribordo ed una parte dei madieri superiori erano stati spezzati ed il timone erasi spaccato a metà.
Ormai non era altro che una carcassa, che non si poteva in alcun modo riparare fra quelle deserte regioni, e che non poteva più navigare.