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capitolo iii — la scomparsa del «polaris» 149


scatole di pemmican, dodici scatole di carne conservata, quattordici prosciutti, venti libbre di zucchero mescolato con cioccolato e alcuni pomi di terra.

Tyson non si perde d’animo. Rincuora i suoi compagni di sventura e cerca di mettere in acqua le scialuppe per raggiungere un campo di ghiaccio più grande, ma non vi riesce in causa del mare che era assai cattivo.

L’indomani riappare il Polaris: navigava a vele spiegate verso il nord-ovest. Tyson ed i suoi compagni, in preda ad una gioia indescrivibile, mandano grida di gioia, sparano colpi di fucile, fanno segnali, ma invano. L’equipaggio della nave non li aveva scorti, nè uditi, ed il Polaris per la seconda volta scomparve agli occhi di quei disgraziati. Ahimè!... Non dovevano più rivederlo!

Ed ecco che comincia l’odissea di quei diciotto uomini, perduti fra i ghiacci della baia di Baffin.

Le correnti trascinavano il banco verso il sud, allontanandolo però sempre più dalle coste groenlandesi. Incontrando acque meno fredde, a poco a poco si scioglieva, minacciando di subissare coloro che lo montavano.

Per maggior sventura i viveri scemavano rapidamente ed i marinai più non obbedivano a Tyson. Parlavano nientemeno che di mangiare gli esquimesi e prima di tutti il bambino nato a bordo del Polaris.

– Corna di caribou!... esclamò Charchot, rabbrividendo. Ecco una storia che fa venire la pelle d’oca!

– Gli esquimesi invece, proseguì mastro Tyndhall, si facevano in venti per aiutare gli uomini bianchi e cacciavano giorno e notte, spiando le foche e assalendo gli orsi bianchi con coraggio disperato.

Un giorno, i naufraghi, vedendo il loro banco impicciolire sempre più, riuscirono a passare su di un altro,