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capitolo i — attraverso la baia di baffin 133


– Pochi colpi ancora, fino a quel pack, poi vi accorderò mezz’ora di riposo. Il vento ci spinge e può girare al nord da un momento all’altro e ricacciarci nello stretto di Davis.

Il piccolo veliero, che s’avanzava stentatamente attraverso i ghiacci della baia di Baffin, correva allora il pericolo di venire imprigionato da una vera flottiglia di streams, di packs e di hummoks che gli ice-bergs spingevano verso il sud-est.

Ve n’erano di tutte le forme e di tutte le dimensioni: delle montagnole che rizzavano le loro punte aguzze come lame; dei blocchi perfettamente circolari che roteavano su di loro stessi, come si agitassero in mezzo a dei gorghi; delle zattere di forma allungata, ma con certi speroni così acuti, da temere che sfondassero le coste del veliero e finalmente dei piccoli banchi sormontati da un caos di obelischi, di colonne bizzarre, alcune alte assai ed altre spezzate, e arcate, e cupole semidiroccate e accatastamenti di blocchi enormi che parevano si mantenessero ritti per un miracolo d’equilibrio.

Dietro a quei piccoli ghiacci s’avanzavano gli ice-bergs, le montagne giganti che le correnti trascinavano verso lo stretto di Davis e verso le lontane coste della Groenlandia.

Quei colossi che ondeggiavano lievemente, ma che si urtavano fra di loro con un fracasso formidabile producendo delle detonazioni paragonabili allo scoppio dei pezzi d’artiglieria, facevano veramente paura.

Guai se uno fosse andato a urtare il piccolo veliero! Per quanto fosse robusto, sarebbe stato schiacciato come una semplice barca.

L’equipaggio aveva ripresa la lotta contro le flottiglie che si stringevano attorno alla barca. Respingevano con