Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Il carcame d'una balena | 9 |
necessario, per non sfinire completamente quei disgraziati che si asfissiavano in mezzo al polverone ed alle esalazioni ammoniacali sprigionantisi dagli squarci aperti negli strati di guano. I minatori, pallidi, disfatti, cogli occhi gonfi e le palpebre rosse, avevano gettati i picconi, lasciandosi scivolare giù da quei cumuli, e si radunavano a gruppi sulla spiaggia, attorno a dei fuochi che facevano bollire pentole e caldaie di rame di mostruose dimensioni e dove, sotto la cenere calda, si cuocevano enormi formales, specie di focaccie di farina di mais, condite con grasso, che nel Chilì e nel Perù surrogano bene o male il pane.
Le scodelle circolavano e si vuotavano con prodigiosa rapidità, senza che le enormi caldaie accennassero ad esaurirsi. Quei minatori, dotati d’uno stomaco eccezionalmente robusto, assaporavano appena, tanta era la loro fame la chupe de chiche, mistura composta d’insetti acquatici assai buoni; o la puchero, miscuglio composto di carne, di salsiccia, di tuberi di banani, di radici con abbastanza pepe rosso, una vera olla podrida; o la quinua atamalada, piatto formato con un seme assai usato dagli indigeni.
Ma sopratutto vuotavano i fiaschi di chicha e di guinapo, birra migliore della prima, ottenuta colla fermentazione del guinapo, dopo che questo è stato fatto masticare per bene.... da vecchie sdentate!...
I primi saziati facevano subito posto agli altri, sdraiandosi sulla sabbia della spiaggia a godersi un po’ di sole ed a masticare un boccone di coca sapientemente preparata.
Questa coca, che nel Perù e nel Chilì tiene luogo del tabacco e di cui si fa un uso smodato al pari del tabacco da parte degli europei, è un miscuglio composto di foglie verdi, prodotte da un arbusto detto matu chancha dagl’indigeni, che cresce nelle valli ben riparate delle Ande, d’un