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Una caccia ai condor 73


Deve avervi amata assai quell’uomo, per essere diventato così triste e così selvaggio. Mi hanno detto che passa delle intere settimane senza mai parlare con nessuno, nemmeno coi suoi marinai.

— Taci, papà Pardoe, — disse Mariquita, con voce soffocata. — Vedremo come mi accoglierà.

— È diventato un orso e poi.... eh, avrete da faticare a deciderlo. Bah! Non disperiamo. —

Cominciavano a salire i primi pendii del Tarn, cosparsi di pini araucani altissimi, che producono delle frutta simili alle nostre castagne, di punya e di faggi, ed ingombri di cespugli entro i quali si udivano latrare lamentosamente i cani di prateria.

Dinanzi a loro numerosi volatili s’alzavano, fuggendo disordinatamente in tutte le direzioni. Erano bei casariti, specie di tordi che fanno dei nidi in forma di cupolette con entrate labirintiche; erano pernici di campo, tanaghe striate colle belle penne azzurre ed aranciate; colombe zenaide, un po’ più grosse delle nostrane e dei guid-guid, volatili che abbaiano come i cani.

Di quando in quando dai cespugli fittissimi balzava fuori rapidissimo qualche guanaco, animale agilissimo, col collo lungo e flessibile, la testa piccola e le gambe sottilissime, selvaggina molto ricercata dai patagoni i quali apprezzano molto la delicatezza delle sue carni; oppure volava fuori, correndo poi all’impazzata sulle sue lunghe gambe, qualche nadù, lo struzzo delle terre magellaniche che è molto più piccolo di quello africano e non ha penne così ricche e così belle.

Dopo d’aver attraversata una boscaglia assai folta che saliva faticosamente lungo i fianchi del cono, i due cavalli si fermarono dinanzi ad una rupe dove stavano legati al tronco d’un faggio altri tre mustani di statura altissima.