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4 Capitolo I

naio, sicchè quando nel nostro emisfero settentrionale noi bruciamo dal caldo, laggiù invece si gela dal freddo.

Era quindi giunto il momento di abbandonare la huaneras di porto Stokes, di dare un addio all’isola della Desolazione che stava per diventare un deserto di neve e di ritirarsi a Punta Arenas o nei porti cileni del Pacifico.

Non restava da far altro che completare il carico dell’ultima nave la quale rullava disperatamente fra le onde del porto, e che era frettolosa di andarsene, prima che qualche formidabile uragano la scaraventasse contro la costa o la trascinasse verso le scogliere pericolosissime e selvaggie delle Undicimila Vergini.

Il lavoro delle huaneras, così nelle isole Chindia, che sono le più ricche e che danno annualmente non meno di quattrocentomila tonnellate di guano, con immensi vantaggi del governo peruviano, come in quelle ultimamente scoperte sulle isole dello Stretto di Magellano o della Terra del Fuoco di proprietà del governo cileno, è ben più faticoso che quello delle miniere di carbone fossile. Solamente gli uomini robustissimi ed i coolies chinesi possono resistere al polverone giallastro e salino che li investe da tutte le parti accecandoli e agli orribili odori che si sprigionano da quegli ammassi di vecchie deiezioni. Un uomo debole od un novizio non potrebbe durare due ore senza correre il pericolo di morire asfissiato.

Quei depositi, formati da escrementi di uccelli marini, dai piqueros, dai sarcillos, dai guaiotas, dagli alcatraus, che sono specie di bruttissimi marangoni, che in quelle isole si contano a milioni e milioni, raggiungono spesso delle altezze considerevoli che toccano talvolta anche i trenta metri.

Sono disposti a strati orizzontali, molto spessi, ora ondulati ed ora bizzarramente contorti, specialmente verso la cima; oscuri in basso, dove si trova l’huano pardo o guano