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36 Capitolo III.


Il vecchio baleniere e José manovravano con rara abilità, essendo stato anche quest’ultimo marinaio, prima di diventare sorvegliante delle huaneras. Il primo teneva la barra del timone; il secondo s’occupava della velatura dei flocchi, pronto a ridurla quando dalle gole della Terra della Desolazione minacciavano di irrompere qualcuna di quelle terribili raffiche che tutti i naviganti di quelle regioni temono peggio di un vero uragano.

L’aspetto che offrivano tutte quelle isole, disseminate su quell’oceano sempre furioso, era tale da impressionare anche il vecchio baleniere, quantunque abituato a navigare in quei paraggi. Pareva che una formidabile scossa di terremoto avesse anticamente disgregato qualche immensa isola, disperdendone i frammenti in tutte le direzioni.

Era un attruppamento di rocce aperte e nerastre, tagliate a picco, alcune altissime ed inaccessibili; di scogli e di scoglietti che s’incrociavano in mille modi, che ora apparivano ed ora scomparivano sotto le folate di spuma avventate dai cavalloni, fra un rombo continuo ed assordante.

Nessuna pianta, nemmeno dei licheni, nemmeno dei miseri muschi, crescevano in quelle terre battute eternamente dagli uragani. I naviganti non avevano avuto torto a chiamarle terre desolate, perchè nessun essere umano vi sarebbe potuto vivere.

Era quello invece il regno dei volatili.

Tutte le spiaggie delle isole e le cime delle scogliere ne erano piene.

Torme immense di volatili stavano allineate sulle rupi, guardando stupidamente le onde e gridando a piena gola dietro alla scialuppa.

Si vedevano le urie, schierate su tre ranghi, occupate a dare dei concerti scordati; delle lunghe file di micropterus, grossi come oche, stravaganti volatili che hanno la testa