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La fuga 285


— A morire con Piotre, — rispose la giovane.

Alonzo pronunciò una bestemmia.

Il baleniere, che non si era accorto di nulla, aveva allora finito di spezzare l’ultima imbarcazione... In pochi salti raggiunse i fuggiaschi, passando fra una tempesta di dardi e di giavellotti e balzò nei canotti, gridando con voce tuonante:

— Ai remi! —

Tutti, eccettuato Alonzo, che si era seduto a prora d’una scialuppa, pallido di rabbia, avevano afferrate le pagaie.

Uscirono velocemente dalla cala e si spinsero in mezzo al golfo, mentre gli Ona, impotenti a seguirli, si sfogavano con urla e con una inutile grandine di proiettili d’ogni specie. La notte era oscurissima e nebbiosa, ma, non soffiando il vento, non vi erano ondate così forti da compromettere la poca resistenza che offrivano i due canotti. Anche l’Atlantico sembrava tranquillo non udendosi al largo lo scroscio dei cavalloni.

Nondimeno i fuggiaschi non si sentivano tranquilli su quei fragili schifi che potevano da un momento all’altro guastarsi ed affondare. E poi nella fretta di sottrarsi all’inseguimento dei selvaggi non si erano occupati di portare con loro nè una goccia d’acqua dolce, nè alcuna provvigione.

— Dove andremo a finire noi? — chiese il signor Lopez, vedendo che Piotre dirigeva i canotti fuori della baia.

— Fuggiamo, — rispose il baleniere. — Prima che sorga l’alba dobbiamo essere ben lontani di qui. I selvaggi avranno già dato l’allarme e siccome i canotti non mancano a loro, non tarderanno a mettersi in caccia.

La nostra salvezza sta nella nostra rapidità.

— Saremo costretti ad approdare in qualche luogo. Queste scialuppe non resisteranno molto all’urto delle onde dell’oceano, nè potrebbero servirci per riguadagnare lo Stretto di Magellano che è così lontano.