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Prigionieri dei selvaggi | 265 |
— E anche distrutta la nave?
— Ci occorreva del ferro.
— E della mia che cosa ne farete?
— A quest’ora brucia ed i nostri pescatori raccolgono i pezzi di metallo.
— La mia Quiqua! — urlò Piotre, facendo uno sforzo supremo per spezzare le corde e balzare alla gola dello stregone.
— Il capo bianco non voleva; invece io, per togliergli dal capo l’idea di fuggire, l’ho fatta incendiare.
Così non potrete più andarvene ed eviteremo il pericolo di far venire molti uomini bianchi a sterminarci. Neh, non sono uno stupido io!
— Sei un infame pirata.
— Non so che cosa sia, nè mi curo di saperlo. Sta cheto e non ti arrabbiare. —
Lo stregone, che doveva avere una gran paura di Piotre, anche se questi era legato, lo lasciò, riparandosi fra un gruppo di guerrieri. Tutte le orde che avevano preso parte al combattimento si erano messe in cammino, parte precedendo e parte seguendo le tre lettighe.
Erano quattro o cinquecento selvaggi, tutti bene armati e di statura superiore alla media, poichè gli Ona sono i più alti uomini della Terra del Fuoco, discendendo probabilmente dai Patagoni, mentre invece, come abbiamo detto, tutti gli altri sono al disotto della statura media.
Erano divisi in varii drappelli, guidati ognuno da capi che portavano fra i capelli piume di colore differente per distinguersi gli uni dagli altri. Moltissimi erano feriti, avendo dovuto subire per un buon quarto d’ora il fuoco dei marinai della Quiqua; tuttavia non davano segno di mostrare soverchio dolore e camminavano al pari degli altri senza rimanere indietro, nè chiedere aiuto ai compagni.