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22 Capitolo II


— Spero di sì.

— Lascia a me questo onore, — disse José, scavalcando rapidamente i banchi. — Sono più giovane e anche più svelto. —

S’aggrappò alla funicella e, puntando i piedi sul fianco della balena che era irto di protuberanze, cominciò a salire senza scosse, perchè il rampone non si staccasse o il manico che è di legno, non si spezzasse.

I suoi compagni tenevano la barca accostata per essere più pronti a raccoglierlo, nel caso che cadesse.

Il giovane, forte e destro come era, in pochi momenti raggiunse l’asta e s’inerpicò sul dorso del cetaceo, avanzandosi verso i due cadaveri, che, come abbiamo detto, stavano coricati l’uno presso l’altro.

Erano due uomini sulla trentina, di forme erculee, che indossavano lunghi gabbani di tela cerata, calzoni di grosso panno azzurro e pesanti stivali di mare.

Ambedue avevano lunghe barbe rossiccie ed i lineamenti spaventosamente alterati da una lunga e probabilmente straziante agonia. Le loro gote erano incavate, i loro nasi già incancreniti, la fronte priva della pelle strappata dagli uccelli marini e le orbite vuote.

José era rimasto atterrito, vedendoli in quello stato miserando e si era fermato a qualche distanza osservandoli attentamente per cercare di riconoscerli. Quantunque fossero così malconci, gli pareva che quei volti non gli fossero del tutto ignoti.

— Sono morti? — chiese una voce dietro lui.

Era il vecchio baleniere il quale era riuscito, dopo non lieve fatica, a raggiungerlo.

— Sì, — rispose José, con voce tremante. — Devono essere morti di freddo e fors’anche di sete.

— Non li hai mai veduti?