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Un dramma marittimo 21


La barca, spinta da quegli otto remi poderosamente manovrati, si accostò all’immenso cetaceo. Esso aveva gran parte della testa fuori dell’acqua e la bocca spalancata, tenuta così dall’incrociarsi accidentale dei fanoni, che sono quelle lunghe lamine d’osso, dentellate ad uno dei margini e variegate, che scendono diritte, formando una specie di siepe e che forniscono i così detti ossi di balena, che si adoperano nella fabbricazione degli ombrelli di lusso.

Quell’apertura entro cui si precipitavano le onde, muggendo fragorosamente, come se entrassero in una caverna marina, era così immensa da contenere senza fatica la barca e tutti gli uomini che la montavano e di più anche un’altra più piccola.

Vedendola, si sarebbe potuto credere che quella gola fosse stata unicamente creata per inghiottire tuttociò che si presentava; invece no, perchè le balene sono tutt’altro che delle formidabili mangiatrici. Si possono anzi chiamare povere pescatrici che si guadagnano faticosamente il vitto coi loro fanoni e colla loro lingua, contentandosi di una minuscola frittura, che i pesci cani ed i delfini sdegnerebbero.

Il vecchio baleniere assicurò nella mascella inferiore del cetaceo un grosso arpione, munito d’una solida catena, poi allontanò con una spinta la scialuppa per raggiungere il fianco destro della gigantesca massa e tentarne la scalata.

Da una fiocina pendeva una corda, una funicella abbastanza grossa per sorreggere il peso d’un uomo. Il baleniere ritirò dall’acqua la parte sommersa, sperando di trovarvi la tavoletta portante le iniziali del capitano ed il nome della nave.

— Si vede? — chiese José, che si era alzato.

— Non c’è più, — rispose il vecchio. — La corda è stata spezzata.

— Puoi salire sul dorso della balena?