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Lo stregone 193


Quantunque tutto intorno vi fossero aspre montagne, coperte già da un folto strato di neve, alla loro base si scorgeva una rigogliosa vegetazione, ancora verdeggiante, la quale si spingeva fino alla riva che era coperta dovunque da cozze, piante fitte, attaccate ad una specie di bisso, pendenti sul mare, che sono eccellenti cotte e si possono mangiare anche crude.

Più in alto si vedevano gruppi di alberetti somiglianti un po’ alle palme di berberis e al nostro bosso ed il cui legno, anche raccolto verde, brucia rapidamente; ed anche gruppi di mirti somiglianti ai corbezzoli.

Poi la linea degli imponenti faggi antartici, coi loro tronchi enormi che sbalzavano trenta e anche quaranta metri, stendendo in tutte le direzioni i loro robusti rami carichi di ammassi di foglie verdi cupe.

Anche nella baia la vegetazione era fitta.

Tutto il fondo era cosparso di quelle lunghissime alghe chiamate Kelp, che misurano talvolta perfino duecento e anche trecento metri di lunghezza, vere praterie marine, dove sfilavano a battaglioni i sebaste dalle scagliette coralline, le belle nothothenie dalle grosse squame dorate e dove riposavano placidamente le enormi patelle magellaniche che forniscono ai fuegini un cibo appetitoso e abbondante e delle cui coppe eleganti, che hanno un diametro considerevole, si servono come di bicchieri.

La Quiqua aveva appena gettata l’âncora, quando fu avvertito un canotto il quale si dirigeva con notevole rapidità verso di essa.

Era abbastanza ben fatto, per essere stato costruito da selvaggi privi di arnesi taglienti, e forniti soltanto di meschini coltelli formati da una conchiglia legata ad un pezzo di legno, essendo a loro sconosciuto l’uso del ferro.

I fuegini, cosa curiosissima, invece di scavare i loro ca-