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La Terra del Fuoco 179

coste per non venire travolta dalle correnti che sono impetuose in quelle regioni, ma non tanto da non poterla scorgere anche senza bisogno dei cannocchiali.

L’oceano era assai mosso intorno alle spiaggie.

Essendo quelle coste assai frastagliate e cadenti a picco, provocano delle formidabili ondate di fondo, le quali si fanno sentire a distanze considerevoli, mettendo a dura prova gli stomachi dei naviganti costretti a subire un incessante rullìo.

L’isola appariva montuosa, terminando da quella parte l’alta catena dei monti Orange.

Vette nevose, che nascondevano le loro cime fra le nubi gravide di pioggia, s’alzavano in tutte le direzioni, mostrando sui loro fianchi cupe foreste di faggi antartici e di conifere rosse. I contrafforti di quelle montagne si spingevano fino al mare, dove strapiombavano bruscamente, rendendo, almeno da quella parte, impossibile ogni approdo.

Di quando in quando qualche enorme spaccatura appariva, una specie di fiord simile a quelli della Norvegia; e sopratutto là dentro il mare infuriava con tanta rabbia che si udivano i muggiti e gli scrosci fino sul ponte della baleniera.

Sulle rupi non si scorgevano che uccelli, gli eterni uccelli marini che sono disseminati in quantità tale su quelle spiaggie da non potersene fare un’idea. Se abbondano nello stretto di Magellano, sono ancora più numerosi, così sulla Terra del Fuoco come sulle isolette che la circondano.

Qualche banda, scorgendo la nave, attratta dalla curiosità o spinta da chissà quale capriccio, s’alzava e veniva a volteggiare attorno alla baleniera, salutandola con un gridìo assordante e prolungato.

Quei volatili erano per lo più prion-tantur, graziosi uccelli marini, non più grossi di una tortorella comune, colle penne grigio turchine sul dorso e biancastre sotto, e phaebetria fuliginose, le più piccole delle diomedee, molto