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166 Capitolo XII.


E tutto ciò lo faceva senza che un muscolo del suo viso trasalisse, senza che un tremito, anche impercettibile, facesse vibrare le sue mani, senza che la sua fronte, anche per un solo momento, si offuscasse.

E passava la Quiqua, passava dovunque, protetta da una fortuna incredibile, scivolando fra montagne e montagne, fra banco e banco, senza mai esitare.

Ad un tratto però parve che la sua buona stella l’abbandonasse e che la sorte si fosse stancata di proteggere la nave ed il suo comandante.

La Quiqua aveva già percorso più di mezzo canale, quando delle montagne di ghiaccio che si spostavano lateralmente in senso contrario, oscillarono spaventevolmente come se fossero lì lì per perdere l’equilibrio.

Erano due delle più enormi, le cui cime dovevano raggiungere i quattrocento metri, e si erano trovate l’una di fronte all’altra nel momento in cui la baleniera, per evitare lo sperone di un terzo ice-bergs che minacciava di sventrarla, si era cacciata in mezzo ad esse. Un urlo di terrore era scoppiato sulla tolda. Anche il volto di Piotre, per la prima volta, era diventato pallido, ed una sorda imprecazione gli era uscita dalle labbra. La morte stava sopra di loro, pronta a piombare sulla povera nave; e quale morte!

Piotre aveva subito ripresa la sua tranquillità.

— Silenzio! — aveva gridato con voce tonante.

I suoi occhi, nondimeno, avevano guardato Mariquita con una inesplicabile espressione d’angoscia.

Le due montagne s’accostavano barcollando sempre più e sotto di loro passava la Quiqua, spinta fortemente da un vento rapidissimo. Se riusciva a sfuggire alla stretta era salva: questione di pochi secondi.

Piotre l’aveva lanciata risolutamente innanzi. Sperava ancora.