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L'assalto dei patagoni 139


— Conosco troppo bene le bolas per diventarne bersaglio, — rispose il vecchio esploratore, il quale sparava di quando in quando un colpo di carabina, passando poi l’arma scarica a Mariquita che gli stava accanto, inginocchiata dietro l’abitacolo.

— Indovinate almeno il motivo di questo attacco improvviso? Non abbiamo fatto nulla a quei selvaggi.

— È la smania del saccheggio che li spinge, mio caro. Forse sospettano che noi abbiamo a bordo dei liquori per ubbriacarsi e credono che la nostra nave sia arenata. E poi sai che odiano tutti gli uomini di razza bianca e che dove possono sorprenderli si fanno un vanto di massacrarli.

— Mi pare che si avanzino, signor Lopez. Vedo dei cavalli in acqua!

— Cercheranno di portarsi a buon tiro.

— Ah! Per mille diavoli! Che cos’è questo? Del fuoco! —

Una palla, che fiammeggiava vivamente, era partita dalla spiaggia ed era caduta sulla tolda, seguita subito da altre tre o quattro.

Il signor Lopez era diventato pallido.

— Le bolas ardenti! — aveva esclamato. — Se non prendiamo il largo, daranno fuoco alla nave! —

I patagoni, vedendo che sprecavano inutilmente i loro proiettili, ricevendo invece in cambio palle coniche e uragani di chiodi che si cacciavano nella loro pelle, avevano cambiato tattica.

Avevano spalmate le loro bolas colla gomma delle bolacs glibaria mescolata probabilmente a della resina, poi le avevano accese e spinti i cavalli in acqua per abbreviare la distanza, cominciavano a tempestare la nave, tentando d’incendiaria.

Il signor Lopez si era slanciato verso Piotre, dicendogli: