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L'assalto dei patagoni | 135 |
lo squilibravano. Pareva che i suoi piedi si radicassero, per modo di dire, nel legno della tolda.
La notte era calata, una notte oscurissima, che la nebbia ormai foltissima rendeva doppiamente cupa, e Piotre non aveva ancora interrotta la sua passeggiata.
Non era nemmeno disceso nel quadro all’ora della cena, contentandosi di sgretolare un paio di biscotti e di inaffiarli con un buon bicchiere di vecchio vino di Spagna.
Papà Pardoe era salito tre volte in coperta, invitandolo a prendere un po’ di riposo; Piotre aveva risposto con un semplice scrollare del capo ed una breve frase:
— Il marinaio all’ora del pericolo deve vegliare. —
Dovevano essere le dieci, quando interruppe bruscamente la sua passeggiata accostandosi verso poppa, dove vegliava uno dei suoi marinai a cui era toccato il primo quarto di guardia.
Fra lo scrosciare delle onde ed i sibili del vento, gli pareva di aver udito dei nitriti di cavalli.
Guardò attentamente verso la riva, senza poter nulla scorgere in causa del nebbione che era sempre foltissimo.
— Hai notato qualcosa di insolito, Pedro? — chiese al marinaio.
— No, padrone, — rispose questi. — Le âncore tengono fermo e la baleniera non si è mossa.
— Non parlo delle âncore, — disse Piotre. — Non hai udito dei nitriti verso la riva?
— Credo che i patagoni non avranno lasciate le loro toldas per venire a vedere le onde rompersi contro la spiaggia, padrone.
— E cos’è questo sibilo? L’odi tu? —
Qualche proiettile doveva essere passato in aria. Si era udito in quel momento un zuffolìo strano che si era subito spento pochi passi più innanzi.