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134 | Capitolo X. |
tre, ad intervalli di pochi minuti, cacciandosi innanzi la nebbia che turbinava in tutti i sensi. Talvolta si faceva un po’ di calma; ma subito dopo le urla ed i ruggiti ricominciavano con maggior forza e la bufera di vento si scatenava con violenza raddoppiata.
Le acque dello stretto, poche ore prima così calme, erano diventate burrascose, e grosse ondate irrompevano nella baia, infrangendosi poi con mille fragori contro le spiaggie e contro la Quiqua, la quale subiva dei trabalzi disordinati.
Piotre, temendo che la baleniera potesse venire spinta addosso alla costa, aveva fatto gettare una terza âncora, quella di speranza, che era la più grossa, e chiudere tutte le vele perchè l’alberatura non offrisse presa al vento. Conosceva troppo bene la violenza dei williwans per lasciarsi cogliere impreparato.
Eppure non erano quei colpi di vento che lo preocupavano e nemmeno la nebbia, bensì la vicinanza della spiaggia che sapeva infestata dai patagoni. Ed infatti teneva gli sguardi ostinatamente fissi sulla spiaggia, come se da quella parte presentisse qualche grave pericolo.
Quasi tutti avevano sgombrata la coperta, rifugiandosi nel quadro e nella camera di prora. Rimanevano soltanto gli uomini di guardia e lui, il quale sfidava impavido le trombe d’acqua che il vento scagliava sul ponte, senza nemmeno prendersi la briga di evitarle.
Aveva abbandonato il suo posto e camminava, con passo regolare, fra i due alberi, colla pipa semi-spenta fra le labbra, e le mani incrocicchiate sul poderoso petto, insensibile alle raffiche ed al freddo che tutto d’un tratto era diventato intenso.
Nemmeno le violentissime scosse che subiva la baleniera, sotto gli assalti quasi improvvisi dell’onde, lo scotevano o