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L'assalto dei patagoni 133


— Anche di.... — fece Mariquita, impallidendo.

Il baleniere gli aveva troncata la frase con un rapido gesto che aveva qualche cosa di minaccioso, poi, curvandosi verso di lei, le disse con voce sorda:

— Non siete ancora mia, señorita, e la mia missione non è ancora compiuta. —

Poi si allontanò, con quel passo pesante che è abituale agli uomini di mare, riprendendo il suo posto sulla cassa, che si trovava accanto al timone, dietro l’abitacolo.

Il baleniere non s’ingannava. Il pericolo non proveniva dai ghiacci, che la salda prora della Quiqua poteva benissimo infrangere, non avendo la consistenza di quelli che si erano avanzati prima, bensì dalla nebbia che scendeva sul canale con rapidità straordinaria, cacciata innanzi dalle furiose folate dei williwans.

Già i monti della Terra del Fuoco erano scomparsi e quelle masse di vapori turbinavano ora sopra il capo di San Isidoro, e s’avanzavano sempre.

Fra qualche ora il canale doveva diventare assolutamente impraticabile, in causa delle immense scogliere e dei banchi che nessun sguardo di marinaio avrebbe potuto più distinguere.

— Siamo presi, — disse papà Pardoe, che se n’era accorto. — Saremo costretti a passare la notte all’ancoraggio, ballando disperatamente.

Fra poco le acque si alzeranno, e guai a noi se le catene non terranno fermo. —

Il vento cominciava ad ingolfarsi anche dentro la baia, travolgendo nella sua foga irresistibile miriadi di uccelli marini, i quali trovandosi impotenti a lottare con tanta furia, venivano malamente sbattuti contro le spiaggie e addosso alle piante.

Erano raffiche tremende che si seguivano le une alle al-