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90 Capitolo undicesimo

Riprese la marcia lentamente, guardando a destra ed a manca e dopo tre o quattrocento passi giunse in una piccola radura che portava le tracce d’una recente coltivazione, essendovi qua e là dei solchi, delle buche e delle canne secche disperse per ogni dove.

— Questa radura un tempo deve essere stata coltivata a canne da zucchero, — mormorò.

Si guardò intorno e scorse, sul margine della foresta, un gruppo di piante che subito riconobbe.

— Ah!... Dei magney!... — esclamò, mandando un lungo sospiro di soddisfazione. — Potrò almeno dissetarmi. —

Quelle che il lupo di mare chiamava magney, erano alcune agave, piante molto preziose, che crescono con buon risultato nelle Grandi Antille.

Questi vegetali che spuntano ovunque, anche nei terreni più sterili, traendo la maggior parte del loro nutrimento dall’umidità dell’aria, impiegano quindici a vent’anni prima di raggiungere il loro completo sviluppo. Durante questo lunghissimo periodo di tempo non aumentano che nelle foglie, le quali diventano lunghe perfino due metri e dello spessore di otto o dieci centimetri. Quando è giunto il periodo favorevole, dal mezzo della pianta sorge un lungo fusto che in soli due giorni, raggiunge l’altezza di quattro e perfino cinque metri!... Osservandolo, lo si vede crescere a vista d’occhio, al pari dei bambù giganti dell’India.

Sulla cima di quel fusto spunta allora il fiore, che non si deve lasciar sviluppare, poichè allora dalla preziosa pianta non si ricaverebbe alcun risultato.

Invece lo si recide e si forma nel fusto un cavo della capacità di due o tre litri, il quale si riempie, due o tre volte ogni ventiquattro ore, d’un liquido zuccherino, fresco, incolore, che chiamasi aguamiele. Quel liquido è il succo che dalle foglie avrebbe dovuto passare nel fiore e che invece si arresta all’estremità del gambo reciso.

Per cinque mesi la pianta continua a somministrare l’aguamiele, dandone circa mille litri, poi esaurita completamente si dissecca e finisce col morire.1

Quel liquido, esposto per dodici ore all’aria, in luogo ombroso, fermenta e forma una bevanda spumante, leggermente inebbriante, gradevolissima e che, specialmente nel Messico, viene consumata in quantità enorme. Si chiama allora pulque.

Non si creda però che la produzione dell’agave termini qui. Dalle sue radici si estrae una specie di acquavite che viene chiamata mezcal!; dalle sue foglie si ricava una specie di carta indistruttibile sulla quale furono scritti i manoscritti degli aztechi,

  1. Mi sorprende come non si sia mai pensato a trarre profitto di questa preziosa pianta che cresce bene nelle nostre provincie meridionali, specialmente in Sicilia.