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302 Capitolo trentaquattresimo

Vellamil, Cartier e Vasquez non si perdono d’animo e fanno scaricare, d’un solo colpo, tutte le artiglierie. Era la manovra della disperazione, ma una manovra senza o con poco effetto contro così grandi navi.

Il Pluton, crivellato dai proiettili del Glowcester affonda. Le sue caldaie scoppiano con un fracasso infernale e la povera nave scompare negli abissi del mare dei Caraibi, con tutti i valorosi marinai.

Il Furor, quantunque oppresso dai proiettili e già sdruscito, resisteva però ancora e tuonava disperatamente tentando di giungere sotto il Glowcester e di scaricargli addosso i suoi siluri.

Il sangue scorreva a fiotti nelle sue batterie ed i morti ed i feriti s’accumulavano a poppa ed a prora. La morte ormai era vicina; la perdita ormai imminente.

L’ammiraglio Villamil, vista la partita ormai perduta, lancia la piccola nave verso la costa per arenarla e salvare gli ultimi superstiti.

In mezzo a quel grandinare tremendo di palle chiama il capitano Carlier e gli ordina di mettere in acqua le scialuppe e di salvarsi assieme ai pochi marinai sfuggiti all’orrendo massacro.

Il valoroso ufficiale, invece di obbedire, gli risponde:

— Perdono, ammiraglio, responsabile della nave sono io e resterò al mio posto fino all’ultimo, qualunque sia la sorte che ci attende.

— Allora preparatevi a morire, poichè fra pochi minuti coleremo a fondo, — rispose l’ammiraglio.

— Sono pronto, — soggiunse Carlier.

Un istante dopo una grossa granata americana scoppia a bordo del Furor e la contro-torpediniera sparisce sott’acqua assieme a Villamil ed al suo capitano.

Onore ai coraggiosi vinti da uno strapotente nemico!...

Mentre le due piccole navi scendevano negli abissi del mare, le quattro corazzate spagnuole proseguivano la titanica lotta.

La squadra americana aveva ormai circondata la spagnuola e la subissava con una tremenda tempesta di proiettili. Le grosse granate delle grandi corazzate, cadevano fitte sui ponti degli incrociatori, determinando furiosi incendi, che a malapena venivano estinti.

Dopo un solo quarto d’ora, la maggior parte dei cannoni dell’Almirante Oquendo e dell’Infanta Maria Teresa erano o smontati o così ardenti da non poter più venire adoperati.

I grossi proiettili americani attraversavano ormai le corazze dei due incrociatori e scoppiavano, con fracasso spaventoso, nelle batterie, facendo strage dei marinai e degli artiglieri.

L’Oquendo, ormai in fiamme, non resisteva quasi più. Vortici di fumo e nembi di scintille lo avvolgevano da prora a poppa, mentre il sangue correva a torrenti entro le batterie sventrate, ed i morti ed i feriti aumentavano di minuto in minuto.