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L’assalto d’El Caney e d’Aguadores 297

Quando la marchesa giunse ad Aguadores, gli spagnuoli tenevano ancora fortemente le loro posizioni, però quella località pareva tramutata in un immenso ospedale.

Centinaia di feriti, che venivano raccolti sul campo alla luce delle torce, giungevano ad ogni istante, ridotti in uno stato compassionevole, mutilati, sciabolati, coperti di polvere e di sangue.

Da ogni tenda, da ogni capanna, dietro alle trincee si udivano urla strazianti, o rochi lamenti o rantoli di moribondi e quell’orribile raccolta non era ancora finita!... Di sotto a quei monti di cadaveri altri feriti imploravano aiuto o morivano, soli, in mezzo alla paurosa oscurità, in mezzo ad un vero bagno di sangue!...

La marchesa, col cuore rattristato, stretta da un’angoscia inesprimibile, aveva già attraversate le trincee per recarsi dal generale Linares onde mettersi ai suoi ordini quando fu avvicinata da un capitano dei cacciatori che aveva già veduto presso il generale Torral.

— Signora del Castillo, io vi cercavo d’ordine del generale.

— Sapevate adunque che io era sfuggita alla morte?

— Sì, marchesa, lo avevo saputo da alcuni cacciatori che hanno preso parte alla battaglia di El Caney.

— E desiderate?...

— Se vi preme salvare il vostro Yucatan, non avete un minuto da perdere.

— Cosa volete dire?...

— Che la squadra dell’ammiraglio Cervera si prepara a lasciare Santiago.

— A partire!... — esclamò la marchesa al colmo dello stupore. — E le navi di Sampson e di Schley?...

— Meglio morire sul mare combattendo che arrendersi più tardi senza lotta, signora, — disse il capitano. — Santiago è perduta per la Spagna e fors’anche Cuba.

— E la vittoria di quest’oggi?

— Sarà una sconfitta per domani. Partite signora, se volete tentare di salvare il vostro Yucatan. —

La marchesa lo guardò per alcuni istanti senza rispondere, come se fosse oppressa da una immensa angoscia, poi disse lentamente, volgendosi verso Cordoba:

— Andiamo a morire, amico mio... La nostra missione è finita. —