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Il «Yucatan» 21

dovevano imprimergli una velocità tale da gareggiare coi più veloci incrociatori della marina americana, potendo toccare i ventisei nodi all’ora.

Nessun oggetto ingombrante sulla tolda, eccettuati due alberi di ferro coll’attrezzatura a goletta e pochissime corde e le due piccole torri a protezione del pezzo di cannone e della ruota del timone, ma che all’ultimo momento dovevano sparire e la ciminiera della macchina, larga e bassa. Per murate aveva una semplice cancellata di ferro, a fori larghi che non impediva l’accesso ai colpi di mare, sufficiente a riparare l’equipaggio ed impedirgli di venire spazzato via.

La sua potenza consisteva, come si è detto, nella sua impermeabilità che doveva dargli un vantaggio straordinario sulle altre navi.

Il suo scafo, costruito in acciaio, era stato diviso in un grande numero di scompartimenti stagni che erano poi stati riempiti di mattoni composti di una materia conosciuta nella marineria col nome di celluloide; materia leggerissima, pesando solamente dai centoventi ai centocinquanta chilogrammi al metro cubo, formata di fibre di cocco e che ha la proprietà di dilatarsi e di indurirsi al contatto dell’acqua. Quella specie di cintura di protezione, adottata anche dalle navi moderne, in proporzioni però ancora troppo limitate, doveva rendere impossibile la sommersione della piccola nave, anche se attraversata dai più grossi proiettili. Mercé quel celluloide sempre pronto, alla prima invasione delle acque, a gonfiarsi ed a chiudere qualunque foro prodotto dai proiettili, non poteva affondare.

Poteva bensì l’yacht venire sconquassato, massacrato, pure si sarebbe sempre mantenuto a galla e senza spostare, e questo era l’importante, il suo piano normale e continuare la corsa, se le macchine, situate d’altronde in fondo alla stiva e protette del pari da cuscinetti di celluloide e da una fascia corazzata, non venivano guastate. Ma ben altre perfezioni erano state introdotte dal marchese del Castillo in quella piccola nave, facendone un incrociatore capace di far stupire gli americani e di rendere i più preziosi servigi nelle pericolose spedizioni che stava per intraprendere.

Al comando dato di «affondate la nave» lanciato dalla capitana, venti uomini si erano alzati ed erano scomparsi nel boccaporto di prora, il quale era stato lasciato aperto, mentre altrettanti staccavano, con rapidità prodigiosa, le bome ed i picchi del trinchetto e del maestro ed i pochi paterazzi e le sartie di sostegno.

L’operazione era appena terminata, quando si videro i due alberi abbassarsi, rinchiudendosi come i tubi di un cannocchiale e sparire completamente nel ventre della piccola nave, mentre sotto coperta si udivano dei sordi fischi che parevano prodotti dall’irrompere dell’acqua del mare entro qualche grande serbatoio.

Allora si vide una cosa assolutamente inaspettata, che avrebbe