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208 Capitolo ventiquattresimo

— Non temete, — rispose il cubano.

Intanto i cavalli, eccitati dai cavalieri, divoravano la via con crescente velocità, passando sotto i grandi alberi come un uragano.

Il bosco ben presto fu attraversato ed agli sguardi dei cavalieri apparve un grazioso villaggio, annidato all’estremità d’una piccola baia ed ombreggiato da una doppia fila di splendidi palmizi reali colle grandi foglie piumate e dal tronco altissimo ed elegante.

— S. Felipe, — disse il mulatto.

— Non credevo di essere così vicino, — si limitò a rispondere Cordoba.

I cavalli in meno di quindici minuti attraversarono la distanza, costeggiando una piantagione di cacao ed entrarono nel villaggio di galoppo, arrestandosi dinanzi ad un ampio steccato, dietro al quale si vedevano sorgere un gran numero di immense tettoie.

S. Felipe non era che un povero villaggio formato da una cinquantina di casette ed abitato da due o trecento persone per lo più negri e mulatti, però gl’insorti ne avevano fatto un centro per lo sbarco delle armi e delle munizioni. Non osando i filibustieri americani accostarsi troppo alle coste di Cuba che sapevano essere sorvegliate dalle cannoniere spagnuole dell’Ensenada della Broa e della baia di Cazones e di Cienfuegos, avevano scelta quella località poco frequentata per operare gli sbarchi delle armi mandate dal Comitato rivoluzionario di New-York.

Però per non venire sorpresi, gl’insorti avevano mandato colà un buon numero di combattenti, un trecento circa, i quali avevano formato un piccolo campo trincerato, munendolo di alcuni cannoni a tiro rapido, ricevuti dai filibustieri yankees.

Il mulatto scambiò alcune parole con una sentinella che vegliava all’entrata del recinto e introdusse i suoi compagni.

Quella specie di campo trincerato, difeso da una solida stecconata e da un fosso profondo, misurava sei o settecento metri di circuito e comprendeva otto ampie tettoie sotto le quali si vedevano un gran numero di casse contenenti probabilmente delle armi e delle munizioni da spedirsi a Cuba, probabilmente agl’insorti di Pinar del Rio.

Un centinaio d’uomini per la maggior parte creoli cubani, si trovava nel recinto. Vedendo entrare quei cavalieri, alcuni si affrettarono ad andarli a ricevere.

— Dov’è il capo? — chiese il mulatto. — Questi americani desiderano parlare a lui.

— Seguitemi, — rispose un insorto.

Cordoba ed i suoi compagni scesero da cavallo ed attraversarono il piccolo campo trincerato. Il tenente si era messo vicino al signor Del Monte e di quando in quando gli dava una stretta al braccio, mentre uno dei due marinai, il più robusto, li seguiva ad un passo di distanza, pronto ad accoppare il prigioniero al menomo sospetto.