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156 Capitolo diciottesimo

La grande foresta era diventata silenziosa; non si udiva nemmeno una foglia a stormire, regnando allora una calma completa.

Ripreso il respiro, Cordoba ed il suo compagno divorarono alcuni aranci che avevano trovati a terra, per dissetarsi, poi si rimisero in marcia cercando di orizzontarsi colle stelle.

La boscaglia non era più fitta. Era formata da macchie isolate e da radici, sicchè potevano avanzarsi senza troppa fatica e senza essere obbligati a cercare i passaggi od aprirseli a colpi di coltello.

Per lo più quelle macchie erano formate da cedri, alberi bellissimi, assai alti e che abbondano nell’isola di Cuba, contandosene oltre trenta specie, non mancavano però i pittoreschi palmizi reali, veri giganti che raggiungono delle altezze prodigiose e che hanno dei tronchi enormi; come non erano rari i tamarindi, gli allori di china e le magnolie le quali spandevano all’intorno dei profumi deliziosi.

Gli animali mancavano, essendo l’isola piuttosto scarsa di selvaggina nelle sue parti occidentali, mentre invece nelle parti centrali abbonda di bufali, di cignali e di coccodrilli. Di ciò si crucciava il buon Cordoba il quale avrebbe volontieri assaggiato un pezzo d’arrosto, dopo quel digiuno un po’ troppo lungo.

Per cinque ore i due fuggiaschi camminarono quasi senza interruzione, dirigendosi sempre verso l’est, poi sostarono sul margine d’una piantagione di zucchero già devastata dal fuoco, forse appiccatovi dagl’insorti e fors’anche dai soldati spagnoli per vendicarsi dei loro nemici.

Essendo però qualche canna sfuggita all’incendio, Cordoba ed il suo compagno la raccolsero, serbandola per la colazione.

L’alba cominciava allora a fugare le tenebre. I grossi pipistrelli, specie di vampiri, fuggivano andandosi a nascondere nei cavi degli alberi, mentre i pappagalli cominciavano a svegliarsi schiamazzando a piena gola sulle più alte cime dei tamarindi e dei palmizi, e le splendide colombe s’alzavano a stormi per salutare il sole che stava per apparire.

— Cerchiamo un ricovero, — disse Cordoba. — Non è prudente marciare di giorno, sapendo che forse gl’insorti non sono lontani.

— Mi sembra di vedere laggiù una costruzione, — disse lo spagnuolo. — Sarà forse la batey dell’ingenio.

— Cosa vuoi dire?

— La fabbrica da zucchero della piantagione.

— Purchè non sia già occupata da qualche banda d’insorti? — disse Cordoba.

— Ci avanzeremo con prudenza. —

Si cacciarono in mezzo ai solchi dell’ingenio, nome dato alle piantagioni di canne da zucchero e si diressero verso un fabbricato che sorgeva su di una piccola altura, sormontato da un alto camino, ma già in parte diroccato.